Funzione di aree cerebrali come impronte digitali

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 21 aprile 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo studio della corteccia cerebrale umana e di altri primati ha caratterizzato e scandito l’evoluzione delle neuroscienze negli ultimi due secoli. In particolare, il tentativo di stabilire una relazione fra l’organizzazione morfologica, basata sulle differenze citoarchitettoniche tra aree omogenee al loro interno, e il valore funzionale, inferito dalla patologia e da esperimenti di elettrostimolazione in vivo, ha a lungo rappresentato l’oggetto di innumerevoli studi e l’obiettivo principale della ricerca sulla struttura corticale del cervello dei mammiferi. La prospettiva è progressivamente mutata solo negli ultimi decenni, con l’introduzione delle metodiche di neuroimmagine funzionale che, consentendo l’esplorazione diretta di pattern di attività correlati al comportamento, hanno allontanato l’interesse per l’istologia.

Vari approcci, basati sull’impiego della risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging), stanno fornendo numerosi dati e nuovi criteri per delineare mappe dell’organizzazione in macroscala della neurofisiologia corticale. In particolare, lo studio condotto con questa metodica nelle scimmie antropomorfe (NHP, da non-human primates), consente di superare le barriere tipiche della translational research. In questo ambito, un nuovo studio condotto da Xu e colleghi è giunto a definire, nel macaco, una caratterizzazione funzionale per macroaree della corteccia, specifica e distintiva per ciascun individuo.

(Xu T., et al., Delineating the Macroscale Areal Organization of the Macaque Cortex In Vivo. Cell Reports 23 (2): 429-441 - Epub ahead of print - doi: 10.1016/j.celrep.2018.03.049, Apr. 10, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Developing Brain, Child Mind Institute, New York, NY (USA); Center for Biomedical Imaging and Neuromodulation, Nathan Kline Institute for Psychiatric Research, Orangeburg, NY (USA); Department of Behavior Neuroscience, Department of Psychiatry, Advanced Imaging Research Center, Oregon Health Science University, Portland, Oregon (USA); Divisions of Neuroscience and Cardio-metabolic Health, Oregon National Primate Research Center, Beaverton, Oregon (USA).

La definizione del rapporto fra la morfologia corticale e le funzioni sensitive e motorie del cervello ha rappresentato un’acquisizione di cruciale importanza nella storia delle neuroscienze ed ha costituito una base imprescindibile per gran parte della pratica clinica della neurologia del Novecento. Quando alla mappa di Brodmann delle aree corticali, basata sulla citoarchitettonica e mieloarchitettonica, si è associata la topografia delle risposte funzionali alla stimolazione in vivo della corteccia, è nata la moderna fisiologia del cervello, che ha integrato i dati classici provenienti dalla patologia, quali le sedi delle aree di Broca e Wernicke del linguaggio o quelle delle lesioni che provocano agnosie, con le nuove informazioni, costituendo un fondamento razionale per la ricerca e una base per molte interpretazioni cliniche.

Già negli anni Trenta i fisiologi avevano scoperto che il movimento può essere evocato mediante la stimolazione delle aree premotorie: l’area 6 di Brodmann contiene quattro principali aree premotorie che proiettano direttamente al midollo spinale, due localizzate nella parte laterale e due nella parte mediale. Si ricorda che il tratto corticospinale diretto o piramidale origina da una vasta regione prossima al solco centrale che include il lobo parietale e la parte posteriore del lobo frontale (aree 4 e 6). Lo studio, che ha visto procedere spesso in parallelo le osservazioni sull’uomo e sulla scimmia, è proseguito con la definizione della fisiologia delle aree del giro post-centrale, che l’anatomia definiva corteccia somestesica primaria, corrispondente all’area 3b di Brodmann, e indicava quale stazione di arrivo della via spino-bulbo-talamo-corticale del lemnisco mediale, veicolante la sensibilità tattile epicritica e propiocettiva cosciente. Nella stimolazione della superficie di questa corteccia sensoriale in volontari non anestetizzati, Wilder Penfield trovò che le sensazioni provenienti dagli arti inferiori erano mediate dai neuroni vicini alla linea mediana e, per la gamba e il piede, erano posti nella parte della circonvoluzione che occupa la superficie emisferica mediale.

A proposito di questi studi si osservava in un nostro precedente articolo: “La corrispondenza topografica fra aree della superficie corporea e territori della corteccia costituisce una delle espressioni più compiute dell’organizzazione somatotopica delle funzioni del sistema nervoso centrale, della sua gerarchizzazione del controllo e della compartimentazione senso/motoria, che propone negli omuncoli motorio e sensitivo disposti lungo i giri pre- e post-centrali, secondo la puntuale descrizione che Wilder Penfield ne fece già nel 1950[1], la separazione e, al contempo, la sintesi funzionale. In altre parole, la rappresentazione del corpo nel sistema nervoso centrale secondo precise mappe topografiche, è connessa con alcune fra le nozioni più importanti e consolidate della neurofisiologia classica ma, allo stesso tempo, ci ricorda che è ancora lontana la possibilità di decifrare tutti i modi in cui il cervello codifica il corpo proprio e quello altrui, in ciascuna sua parte e negli innumerevoli significati che assume in funzione dei contesti e del patrimonio di conoscenze che la mente umana può porre in gioco grazie alla cultura ed alle conoscenze individuali[2].

Per rendersi conto del valore di questa sperimentazione non c’è niente di meglio che leggere uno stralcio di una registrazione dello stesso Penfield, riportata in questo brano: “Le straordinarie trascrizioni delle sedute di stimolazione elettrica della corteccia cerebrale di pazienti svegli scalottati da parte del neurochirurgo e neurofisiologo canadese Wilder Penfield, rimangono fra i documenti più straordinari della storia delle neuroscienze. Nel 1942, per rendersi conto di quali parti del cervello fossero attive e quali fossero state compromesse dalla presenza di un tumore, Penfield stimolò la superficie corticale di una paziente ottenendo una serie impressionante di informazioni da risposte mai evocate prima e, in gran parte, sorprendenti per le conoscenze dell’epoca. Come esempio si riporta, qui di seguito, l’esito della stimolazione elettrica contrassegnata con il numero “11” nella trascrizione.

 

11 – (Esperimento di stimolo ripetuto senza avvertire la paziente) “Si, signore, credo di sentire una madre chiamare il suo bambino da qualche parte. Sembra essere qualcosa che è accaduto anni fa”. (Le si chiede di spiegare) “Qualcuno nel vicinato dove io vivo”. (Poi dice di se stessa al momento della percezione) “Ero in un qualche luogo vicino abbastanza per sentire”[3].

 

Dopo qualche semplice risposta motoria, ad ogni nuovo punto di cimento dell’elettrodo si aveva testimonianza di un nuovo stato mentale indotto nella paziente: ricordi di persone, voci, luoghi improvvisamente ritornati dal passato e divenuti presenti, ma anche sensazioni insolite come quella di “conoscere tutto ciò che sarebbe accaduto nel prossimo futuro”[4]. Penfield scrive: “Ero sempre più stupito ad ognuna delle risposte che il mio elettrodo evocava. Come poteva essere? Questo aveva a che fare con la mente. Io chiamai tali risposte «esperienziali»”[5].

Penfield, che con Rasmussen realizzò la prima mappa neurofunzionale della corteccia cerebrale definendo la somatotopica senso-motoria di tutto il corpo[6], aveva ben presente la differenza che c’è fra il rilievo di un’area la cui stimolazione portava alla contrazione di un dito, e la scoperta di territori in grado di indurre rievocazioni ed evocazioni: per la prima volta si metteva in relazione l’esperienza mentale con l’architettura cerebrale[7].

Dopo queste premesse, torniamo allo studio qui recensito.

Gli autori dello studio qui recensito hanno stabilito i requisiti, in termini di dati, per ottenere in singoli individui di una specie di primati una ripartizione funzionale della corteccia cerebrale riproducibile ed intrinsecamente coerente. L’aspetto più rilevante della ricerca è dato dalla dimostrazione, da parte di Xu e colleghi, che i confini delle aree definiti in base all’attività corticale rappresentano un’impronta digitale funzionale dell’animale.

Tale fingerprint corticale può essere ottenuto sia in anestesia generale, sia in differenti condizioni di veglia quali il riposo o il guardare immagini riproducesti elementi naturali. Le differenze esistenti tra lo stato di veglia e la condizione funzionale di narcosi ha precluso la possibilità di caratterizzare stati diversi nello stesso individuo. Il confronto fra lo stato di veglia e quello prodotto dall’anestesia generale suggerisce l’esistenza di un complesso ed articolato quadro di cambiamenti in connettività per aree corticali associative di alto ordine, come per i territori della corteccia specializzati nell’elaborazione primaria delle informazioni visive e motorie.

I risultati di questo studio, per i cui dettagli si rimanda alla lettura del testo dell’articolo originale, dimostrano efficacemente la fattibilità di indagini volte a determinare l’impronta digitale della funzione corticale nel cervello dei primati, e particolarmente nelle specie NHP alle quali appartiene quella studiata. Xu e colleghi stabiliscono anche i dati richiesti per generare parcellizzazioni corticali riproducibili e specifiche per singoli individui, e incoraggiano gli sforzi finalizzati alla realizzazione di protocolli di armonizzazione.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-21 aprile 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Penfield W. & Rasmussen T., The Cerebral Cortex of Man. Macmillan, New York 1950. Questo saggio riassume studi condotti da Penfield negli anni precedenti; in particolare, sono ben noti e spesso citati gli esperimenti del 1942.

[2] Note e Notizie 13-11-10 Rappresentazione del corpo nella corteccia occipito-temporale umana.

[3] Vedi in G. Perrella, La lezione e le lezioni di Wilder Penfield. Princeton University Press, 1987; Cfr. W. Penfield, The mistery of the mind. Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1975.

[4] Penfield, riportato in G. Perrella, op. cit., p. 14.

[5] G. Perrella, op. cit., ibidem.

[6] Penfield W. & Rasmussen T., The Cerebral Cortex of Man. Macmillan, New York 1950.

[7] Note e Notizie 10-03-12 Come la stimolazione del cervello può evocare ricordi. Si suggerisce la lettura del paragrafo “Plasticità corticale e modificabilità della matrice” ne “L’Arto Fantasma” nella sezione “IN CORSO” del sito, nel quale si tratta della sperimentazione basata sulle nozioni di Penfield, condotta su primati dagli anni Ottanta a tempi recenti, che ha scoperto principi e caratteri della plasticità corticale in rapporto all’uso dei segmenti corporei.